Ancora oggi, forse più di prima e sempre con le innumerevoli contraddittorietà e differenze da regione a regione (mancanti di una legislazione uniforme), una delle condizioni più svilenti e angoscianti è fare i conti con una dignitosa assistenza e un adeguato sostegno per un malato affetto dal Morbo di Alzheimer e, in generale, con una persona colpita da demenza.
Vengono toccate le corde più intime, più riservate di tutte le persone interessate: i sentimenti, le emozioni, gli affetti e, non ultimo, anche il problema economico che nasce per le famiglie costrette a dover fronteggiare simili drammi.
Purtroppo ancora non esiste una cura per l’Alzheimer e, considerato il progressivo invecchiamento della popolazione in tutto il mondo, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito la malattia di Alzheimer (e le demenze più in generale) tra le priorità globali di sanità pubblica.
Questo è quanto emerge anche dalla pagina Web del Ministero della Salute i cui numeri, aggiornati al 6 aprile 2016, sono allarmanti:
Oggi, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, circa 35,6 milioni di persone nel mondo soffrono di demenza. Di queste, il 60-70% (tra i 21 e i 25 milioni) è affetto da Alzheimer. Anche in Italia la patologia ha dimensioni rilevanti: secondo l’Istat circa 1 milione di italiani sono colpiti da questa malattia.
Se da un lato ci può rassicurare la presa d’atto di chi dovrebbe garantirci un’adeguata assistenza sanitaria, dall’altro però si continua a brancolare nel buio e nell’incertezza più totale su chi concretamente è tenuto a far fronte alle spese sanitarie per un ricovero in una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) e, ancora più, per un malato di Alzheimer.
Già precedentemente avevo affrontato questo delicato argomento tra dubbi e indecisioni (vedi miei post del 3 febbraio 2013 (Chi Deve Pagare la Retta della Casa di Riposo Se…) e del 13 settembre 2015 (Ancora Incertezze Su Chi Paga La Retta Della Casa Di Riposo).
Oggi, con alcune recenti sentenze – che in questo caso spero veramente facciano giurisprudenza cambiando regole inaccettabili – qualche informazione più sicura sembra si possa fornire ma, conoscendo come va il sistema giudiziario, penso sia il caso di prendere le dovute cautele.
Purtroppo, le sentenze non seguono di norma una linea di pensiero omogenea né i dettami di legge – di per sé mai chiara e quasi sempre soggetta ad ampie interpretazioni – e, spesso, ci si trova di fronte a decisioni contro le quali si è costretti a far valere i propri diritti nei successivi gradi di giudizio e anche qui, spesso, vige la legge del più forte e non di chi ha ragione.
La domanda è: si è disponibili a lunghe e penose attese giudiziarie e a decisioni a sorpresa? Questi sono gli elementi che, con funzione deflattiva e deterrente, ci inducono molto spesso a soccombere e ad accettare qualsiasi richiesta ci venga mossa, anche se sappiamo essere illegittima.
Leggere confortanti articoli che ci spingono a non pagare le rette nelle case di riposo, ci incoraggia. Ma, se entriamo nel merito della notizia, esiste sempre l’altro lato della medaglia e, purtroppo, questa non è mai rasserenante.
È del Tribunale di Monza la sentenza n. 617 del 23 febbraio 2017, pubblicata il successivo 1 marzo, che sta facendo il giro della stampa e del Web.
Per una maggiore comprensione riporto quanto enunciato da questo sito Web, dando il merito di questa battaglia a chi il merito ce l’ha:
Alzheimer: grande vittoria per Confconsumatori. Una sentenza fondamentale che dà speranza a tante famiglie alle prese con le rette delle RSA per i parenti malati. «Ora intervengano le Regioni».
Si legge ancora che:
Il malato di Alzheimer ricoverato in RSA che necessita di prestazioni sanitarie non deve pagare la retta che dev’essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale e non più dei parenti.
È il titolo dell’articolo, laddove si invoca l’intervento delle Regioni, che mi induce a pensare che questa conquista non riguarderà l’intera nostra Nazione: ci saranno ancora discriminazioni territoriali e inefficienze locali a decidere della nostra vita? Dobbiamo sempre e comunque rivolgerci al Comune di appartenenza per assumere le dovute informazioni al fine di prevenire e scongiurare ogni altra richiesta di somme non dovute?
Inoltre, non per smorzare gli entusiasmi, ma la sentenza di cui stiamo parlando, positiva sotto molteplici aspetti e che riconosce alcune legittimità violate, è di primo grado e nulla vieta che, andando avanti con i successivi gradi di giudizio, si possa incorrere in qualche “incidente” di percorso che vanifichi gli obiettivi fin qui raggiunti, gettando nella solita disperazione e confusione famiglie intere che già devono affrontare il duplice problema: la disabilità e/o l’anzianità del familiare e la difficoltà economica.
Per riepilogare…
Se un anziano non autosufficiente e ultrasessantacinquenne viene ricoverato in una RSA, la retta va pagata solo con le sue sostanze, ovvero con i suoi redditi e/o beni patrimoniali. I parenti non sono tenuti a partecipare per integrare la retta mensile.
Se l’anziano dovesse essere non abbiente e privo di proprie risorse economiche, a farsi carico della sua permanenza in RSA convenzionata dev’essere il Comune di residenza.
I malati di Alzheimer, al momento, sembra che non debbano pagare nulla perché se ne deve far carico il Servizio Sanitario Nazionale.
È capitato, capita e accadrà ancora che queste norme possano essere disattese e, in tal caso, ci si ritroverebbe a doversi scontrare, anche giudiziariamente, con chi si fa lecito trasgredire.
Non è inusuale infatti che i Comuni impongano ai parenti legittimati la sottoscrizione di un impegno a versare in proprio la retta del familiare.
Io stessa, nel mio articolo del 13 settembre 2015 (Ancora Incertezze Su Chi Paga La Retta Della Casa Di Riposo), confortata da una sentenza della Cassazione, avevo accennato a delle indicazioni sulla possibilità di inoltrare lettera di disdetta per interrompere qualsiasi prassi scorretta e illegittima posta in essere dai Comuni, ma avevo anche concluso che, in mancanza del pagamento, seppure l’anziano non può essere messo alla porta, con tutta probabilità potrebbe “patire” vessazioni di ogni tipo che lo costringerebbero (o ci costringerebbero) a togliere l’incomodo autonomamente.
Qui ci sarebbe da aprire un altro capitolo sull’opportunità o meno di videosorvegliare gli ambienti in cui vi è permanenza di persone che non sanno o non possono tutelare la loro incolumità verso un certo tipo di personale dipendente che, con comportamenti illeciti e spietati, adombrano l’operato di chi assiste benevolmente e professionalmente i nostri cari, piccoli o grandi che siano.
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