Strano porsi questa domanda quando si è troppo giovani, il dubbio ti balena quando inizi a vedere i tuoi genitori invecchiare e ti chiedi chi si prenderà cura di loro, l’interrogativo si fa strada con irruenza quando inizi tu stesso ad invecchiare e ti domandi chi sarà ad occuparsi di te e, soprattutto, ci sarà qualcuno a farlo?
La vita ci insegna e ci prepara al distacco genitoriale già con la recisione del cordone ombelicale, poi quel legame si trasformerà da fisico a psicologico e dovrebbe farci stare uniti ai nostri cari anche negli anni a venire.
Qualche volta, pur in presenza di vincoli sentimentali forti, sei costretto a fare delle scelte che inesorabilmente pongono delle distanze chilometriche enormi, che non ti separano solo “dagli occhi” – come recita un noto proverbio – ma anche “dal cuore” ed è allora che ti accorgi di poter fare anche a meno di chi ti ha tenuto in grembo, di chi ti ha dato alla luce, di chi ha condiviso con te le prime parole, i primi sorrisi, i primi passi, e così via fino alla crescita che ti ha visto diventare UOMO.
Quando guardiamo un documentario sulla natura, sugli animali, ci colpisce la durezza dei gesti di una leonessa che allontana il cucciolo perché impari a cacciare, a sopravvivere e quasi, per reazione, ci avviciniamo ai nostri cari col preciso scopo di ricordare loro che quell’atteggiamento non lo condividiamo affatto e che, invece, ci fa un enorme piacere sentirci coccolati e protetti.
Bene, questo è quanto desideriamo noi da giovani: il completo impegno e partecipazione dei nostri genitori, l’assoluta dedizione in quanto, altro luogo comune, “non abbiamo deciso noi di venire al mondo” e in quanto tale è un preciso dovere che qualcuno si prenda cura di noi per tutto il tempo che riterremo necessario alla nostra crescita e sviluppo fisico ed intellettivo.
Quando però siamo chiamati noi a prenderci cura dei nostri “vecchi”, aggettivo abusato quando si è ragazzi all’indirizzo dei nostri genitori ma che diventa un macigno quando la vecchiaia è un fatto reale, uno stato fisico invalidante – che non sempre coincide con quello mentale – che necessita del sostegno di chi ci sta accanto, a questo punto sorgono i problemi, noi abbiamo la nostra vita, i nostri interessi, i nostri impegni, come potremmo mai assistere qualcuno che non siamo noi stessi, il nostro egoismo spietato?
Puntuale arriva la scelta di cosa fare del o dei vecchietti: torna alla mente un depliant che pubblicizzava una villa con parco, camere climatizzate, tutti i comfort … un hotel a cinque stelle? No, una casa di riposo, un ospizio insomma, un luogo dove i nostri cari staranno, perché dovranno stare, necessariamente bene, curati, assistiti, in compagnia di altri (estranei). E’ arrivato il momento di delegare qualcuno che provveda al nostro posto.
Questa è la sentenza. Non ci sarà contraddittorio, non ci sarà arringa, non ci sarà difesa alcuna, solo una breve e lapidaria comunicazione: da domani andrai a stare in un posto dove sarai felice di passare il tuo tempo in assoluta serenità e, soprattutto, in compagnia (visto che noi non siamo in grado di darla ad alcuno).
Non ci sarà alcun tentativo di dissuasione da parte dell’ospite ormai indesiderato, solo qualche ruga d’espressione in più sul viso, che poi questa indichi una smorfia di dolore o un pianto soffocato per noi ha poca importanza, abbiamo scelto il meglio … per loro (per noi aggiungerei io!).
La vita scorre, va avanti, invecchieremo anche noi … avremo voglia che qualcuno ci faccia rivivere quel film del quale noi siamo stati sceneggiatori, registi, attori? Non credo, i film si apprezzano e si ricordano piacevolmente quando lasciano un segno, un messaggio, una sensazione, un’emozione, non quando lasciano l’amaro in bocca ed un grande vuoto!
Quando invecchierò … vorrò specchiarmi ancora negli occhi dei miei cari.
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