Diritti e doveri: princìpi su cui riflettere

Fin da piccoli ci insegnano che non si deve origliare, spiare e così via. Norme comportamentali che cerchiamo di mantenere anche nel tempo, al pari di altre esortazioni di integrità, correttezza, lealtà, decenza e onestà intellettuale.

Purtroppo, vuoi perché siamo esseri umani, vuoi perché mantenere un certo rigore non è sempre facile, qualche volta oltrepassiamo certi limiti e questo, tutto sommato, se si riconosce il proprio errore, potrebbe anche risultare superabile. Il peggio sta quando, pur consapevoli di avere assunto un comportamento disdicevole, si pretende pure una certa impunità che, se riconosciuta anche istituzionalmente, diventa motivo di riflessione per tutti, in questo caso: lavoratori e datori di lavoro.

Diritti e doveri, ecco cosa riporta il dizionario online www.sapere.it: risultati per “diritto”:

… il complesso delle leggi che regolano i rapporti sociali e il cui rispetto ha carattere di obbligatorietà per tutti i cittadini …;

…risultati per dovere:

… obbligo a cui si è tenuti per soddisfare una norma morale o giuridica: i diritti e i doveri del cittadino; fare, compiere il proprio dovere; mancare al dovere; … avere il dovere di fare qualcosa; … comportarsi secondo il dovere …

Quanto sopra, sembra non avere senso ma, completando il discorso, spero di riuscire a dargliene uno, quanto meno quello dal mio punto di vista che, con tutto il rispetto per il lavoratore serio e onesto, penso che altrettanto si debba avere per il datore di lavoro serio ed onesto.

Da tempo ormai i lavori amministrativi – e non solo quelli – si avvalgono dell’ausilio di computer; quegli odiosi brogliacci e registri verdi che giravano per gli uffici aziendali sono ormai un ricordo. Di conseguenza anche i lavoratori, conformandosi a tali adeguamenti, hanno dovuto alcuni arrabattarsi per un tête-à-tête col pc, altri invece, già avvezzi, hanno potuto da subito esprimere le proprie capacità e professionalità e non solo.

Infatti alcuni tendono, contrariamente all’etica professionale, a gestire file personali e privati con e su strumenti aziendali messi a loro disposizione per consentire lo svolgimento della propria attività che esula, ovviamente, dal ritenere quella macchina un elemento riservato e in quanto tale inviolabile, dimenticando però che trattasi di un bene aziendale.

Tutto questo però ha anche complicato le cose in quanto, se prima gli spazi … come dire … vuoti, si tendeva a riempirli con altre distrazioni (cruciverba, telefono, quotidiano, sigaretta, ecc.), oggi tutti noi la maggior parte del nostro tempo lo impieghiamo sui social network o nei nostri archivi personali (pure mal custoditi) e non è raro che questo capiti durante l’orario di lavoro, prova ne è che è successo tante volte anche a me di recarmi in taluni uffici e vedere qualcuno intento a concludere frettolosamente un solitario online o una conversazione in chat!

Un simile fatto, fintanto che non diventa una costante, non è certo da condannare drasticamente (tipo col licenziamento), ma sembra il minimo, per quell’onestà intellettuale di cui parlavo sopra (il dovere), che simili intervalli si rimandino a quelle pause previste contrattualmente (i diritti) e, se dovute e non rispettate dal datore di lavoro, rivendicate per legge e non per rappresaglia.

Dopo la premessa, la notizia.

È del 18 ottobre 2012 il provvedimento n. 307 (doc. web n. 2149222) emesso dal Garante della Privacy su un ricorso presentato da un dipendente licenziato e per il quale non voglio entrare nel merito, primo perché non sono un avvocato e secondo perché mi sembra di aver capito, da quanto si legge nel citato provvedimento

RILEVATO comunque che resta fermo quanto previsto dall’art. 160, comma 6, del Codice con riferimento alle autonome determinazioni da parte dell’autorità giudiziaria in ordine all’utilizzabilità nel procedimento civile della documentazione medesima eventualmente già acquisita in tale sede

che è ancora in corso il giudizio e non mi sembra corretto, senza conoscere l’esito di quest’ultimo, esprimere un parere su una vicenda che comunque tocca la sensibilità e l’esistenza di una persona che al momento si trova pur sempre senza lavoro.

Fondamentalmente, il Garante della Privacy dispone, “…quale misura a tutela dei diritti dell’interessato, il divieto per la società resistente di trattare ulteriormente, i dati oggetto del presente ricorso a partire dalla data di ricezione del presente provvedimento”.

Avendo linkato la decisione di cui trattasi, ritengo corretto che la si legga e che si elabori un proprio punto di vista, in questo caso lo ritengo necessario: ogni slogan o frase fatta su rapporti datore di lavoro/lavoratore li reputo in questo caso fuori luogo.

Per coerenza, però, sento di dover esprimere una mia modestissima opinione: se nell’àmbito lavorativo mi viene affidato un pc o un qualsiasi altro strumento di lavoro, indipendentemente da tutto io sono bene a conoscenza che quell’assegnazione non è un regalo ma solo un mezzo perché io possa prestare la mia attività lavorativa. Nel momento in cui devo riconsegnarlo, perché richiestomi o per prassi, dovrebbe essere mia cura non lasciarvi in memoria nulla che io ritenga di aver espletato per fini personali e non lavorativi. La responsabilità di una simile “dimenticanza” penso sia solo mia e di nessun altro. Se per la mia attività lavorativa mi si assegna una vettura aziendale, non credo che per il solo fatto di guidarla io debba sentirmi in dovere di poterne truccare il motore per migliori prestazioni!

Le streghe non vanno sempre ricercate e cacciate nelle medesime categorie di persone, magari perché apparentemente più forti e più stabili socialmente, penso si debba guardare oltre e non generalizzare, così da avere la giusta percezione dell’innocenza ma anche della colpevolezza.


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