Prendo spunto da un articolo, o meglio da un’iniziativa, intrapresa dal Codacons – associazione consumeristica – in merito alla fine che avrebbero fatto i soldi raccolti per i terremotati del centro Italia.
Per venire meglio alla luce, certi problemi è ormai necessario affrontarli mediaticamente.
Quello che dovrebbe essere il naturale percorso di valutazione, laddove si viene a conoscenza di un comportamento illecito, diventa invece motivo di spettacolarità e, solo se presente una telecamera, si può decidere se o meno avviare un’indagine.
Quante volte un comune cittadino, quello che sta per scelta o per decisione altrui lontano dalle cosiddette stanze dei bottoni, si è posto delle domande in merito a tutte le ingiustizie in cui ci si imbatte o con le quali si convive impotenti ogni giorno?
Anche se giocoforza ci mettiamo delle fette di prosciutto sugli occhi e proviamo ad andare avanti, la nostra mente, per nulla appiattita ma solo soggiogata da un sistema malato e malsano, elabora dubbi, insinua sospetti, pone domande e cerca risposte.
Ad alcune di queste saremmo anche in grado di fornire la nostra opinione ma, sempre per quel principio di indolenza cronico, semplicemente detto “quieto vivere”, passiamo oltre, per lo meno fino a quando i diretti interessati non siamo noi o chi ci sta a cuore.
Questo è il momento in cui si solleva lo sguardo da terra o, peggio, si estrae la testa dalla sabbia smettendo di fare lo struzzo, e si corre ai ripari.
Il problema, però, è che a lungo andare quel sistema che non siamo riusciti a smantellare per negligenza si è talmente fortificato e cronicizzato che provare a scalfirlo diventa un’impresa per niente facile e ci rendiamo conto di quanto ci sta per costare la nostra compiacenza.
Compiacenza e non connivenza, perché la vittima di questo sistema (il cittadino onesto), è assolutamente disarmato davanti alle molteplici azioni di forza intraprese da chi ha gli strumenti per sottometterci sotto ogni profilo.
So bene, anche per esperienza personale, che agire contro questo apparato marcio e corrotto, per chi non ha la forza psico-fisica ed economica adeguata, potrebbe segnare la propria vita e quella dei propri familiari. A provarci si è veramente in pochi, tanto da essere sopraffatti.
Perché questa premessa?
Perché penso che siamo in tanti a domandarci il motivo per cui davanti a fatti incredibilmente ingiusti e a tanta dilagante illegalità, quotidianamente sotto gli occhi di tutti, chi è preposto ad intervenire non lo fa se non dopo una segnalazione, una denuncia, un “caso” possibilmente mediatico e, soprattutto, un capro espiatorio.
Di domande – come quelle che legittimamente ha posto la Codacons – prive di risposte ce ne sono tantissime, a partire dalle realtà locali (con rivoli di patrocini e affidamento a pioggia di incarichi), passando per quelle situazioni definite opportunamente di emergenza (immigrazione) e, per finire, a quelle che interessano l’ambito nazionale con gli scandalosi compensi e vitalizi che si concedono con tempestiva solerzia quelle stesse persone (pseudo governanti) che invece decidono con calma della sopravvivenza altrui.
Ecco alcune di queste domande.
È noto che diverse amministrazioni pubbliche, piuttosto che prediligere una sana politica sociale, impiegano somme di denaro pubblico, dunque della collettività, non per garantire o gestire meglio i servizi già carenti o inesistenti, ma per finalità ricreative adducendo come motivazione il beneficio in ritorno economico per gli esercizi commerciali del luogo; negozi e attività che il più delle volte in quelle occasioni rimangono pure chiusi.
Queste scelte sembrano però passare inosservate agli occhi di chi ha potere di vigilanza su comportamenti illeciti e/o discutibili. Perché questo è reso possibile? Da chi?
Ora che quasi tutte le pubbliche amministrazioni sono in rete, ad un occhio vigile e attento basterebbe dare uno scorcio all’albo pretorio (se pubblicato, altrimenti l’accesso agli atti diventa un’impresa), per rendersi conto di come vengono utilizzati i fondi pubblici: mediante incarichi, compensi, patrocini, contributi, ecc., magari a qualche associazione che diventa visibile sul territorio solo se “foraggiata”, ma resta in stand by per la rimanente parte della sua esistenza, tornando attiva solo documentalmente parlando!
Chi è preposto a scongiurare che simili comportamenti diano la possibilità di tessere una rete clientelare? Si aspetta forse l’improbabile intervento di un cittadino?
In merito a certi lavori pubblici, che poi si rivelano eseguiti “a perdere”, per evitare che accada il peggio, non andrebbero monitorati in corso d’opera e collaudati solo se realizzati bene? Invece, come accade all’italiana, si pensa a istituire l’ennesima commissione di esperti che valuti, ma a posteriori.
I conclamati sperperi, a fronte di evidenti carenze e biechi disservizi in danno dei cittadini che si contano nelle amministrazioni pubbliche, nei servizi, nella sanità, nei trasporti, nelle scuole di ogni ordine e grado, nella giustizia, nelle banche, ecc., perché devono essere oggetto di trasmissioni televisive per porvi rimedio?
Il popolo italiano è generoso, lo dimostra la solidarietà nei confronti dei nostri concittadini (e non) in stato di difficoltà, con raccolte di fondi e varie altre iniziative che ci coinvolgono anche emotivamente. Ma come viene gestito tutto questo? Come va rendicontato? Quali prove si hanno di ciò che viene realizzato nelle ricostruzioni?
Per non parlare poi di quella che ormai è una perenne emergenza e, in quanto tale, giustificativa di impiego di fiumi di denaro, riferita alla cosiddetta accoglienza dei tanti stranieri che, a mio parere, così come al momento è condotta la vicenda, passano da una stiva di una carretta ad un improbabile centro di identificazione dove vengono “stivati” in un numero ben definito di persone della cui permanenza e destinazione poi non si ha più contezza se non forse per pochi “addetti”.
Sono numeri che non vengono mai riferiti né chiariti, sentiamo parlare spesso dell’ammontare delle cifre, ma mai del dettaglio di somme erogate a questa o quella associazione che ne dovrebbe curare il trattamento.
Invisibili erano e invisibili rimangono, così come altrettanto astratte sembrano essere alcune associazioni e i nomi di chi ne fa parte e a chi fanno capo, a meno di non dover “investigare”. E non mi pare competa al cittadino comune!
Parliamo anche della pressione fiscale a cui siamo sottoposti quei cittadini che abbiamo tutto alla luce del sole. Lo Stato ci ha messo nelle condizioni di essere super controllati e ha gettato pian piano le basi per un controllo a tappeto di ogni piccolo bene in nostro possesso.
Eppure, malgrado questa capillare forma di accertamento, ancora esistono e sfuggono gli evasori.
Sfuggono, o le loro identità vengono occultate sapientemente in qualche cassetto per essere riesumate nelle occasioni in cui si ha bisogno di dare qualche risposta pubblica o nel momento in cui ci si deve togliere il sassolino dalla scarpa!
Altra ingiustizia che si consente di perpetrare in questa Nazione è il rapporto cittadino-banca. L’accesso al credito è un’incredibile odissea ma, a differenza di Ulisse, destinato a tornare in patria, chi varca la soglia di un istituto di credito – a meno di non possedere fondi patrimoniali – ne esce sconfitto e a mani vuote. Quando riesce ad ottenere una linea di credito, può sempre dire di non avere solo le mani vuote, ma anche le tasche per la restante parte della sua vita.
Tutto questo sotto gli occhi di tutti e nell’indolenza più totale. D’altronde, chi dovrebbe difendere i diritti di un cittadino in stato di bisogno? Non certo colui che non versa in stato di necessità!
Non dimentichiamo pure la madre di tutte le ingiustizie: perché si ponga fine ai lauti compensi riconosciuti a chi siede (o non siede affatto) al governo, dobbiamo aspettare che sia approvata una legge da parte di chi sta godendo di quel privilegio? Inammissibile!
Insomma, senza dover fare una cronistoria di questa o quella ingiustizia, di domande ve ne sono tante, forse troppe, ma per avere le risposte basterebbe una magistratura attenta, libera – come amano definirsi loro – e in grado di far rispettare, rispettando loro stessi per primi, le leggi.
Queste ultime non vanno interpretate: vanno applicate e, quando non sono giuste ed eque, vanno azzerate e promulgate correttamente e nel rispetto dell’umano senso civico.
Utopia? Altro punto di domanda!
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