Per amare gli animali non basta riempire i social di frasi fatte e queste ultime di like ed emoticon rabbiose o amorevoli; non è sufficiente nemmeno prendersi cura di loro e, purtroppo, anche fare a meno di loro quando ci lasciano serenamente o in circostanze violente e/o accidentali.
Amare gli animali, dopo le mie esperienze in merito a quelli vivi nonché a quelli che non ci sono più, è riuscire a dare loro le cure necessarie e riuscire a dare loro una cosiddetta degna sepoltura – se è il proprio animale – o una decorosa rimozione se ci si imbatte nella loro carcassa.
Capisco che il tenore di questa mia manifestazione di sdegno può sembrare duro nei termini usati, ma non vedo altro modo per descrivere l’indignazione da me provata in entrambi i casi che ho accennato sopra.
Poco più di qualche mese fa, ho dovuto letteralmente peregrinare tra veterinari, enti, associazioni, cliniche e non so chi altro, per cercare di aiutare una tortora che, giunta sul balcone di casa mia, presentava dei problemi tali da impedirle di poter volare, persino quando mi sono avvicinata per capire cosa le stesse accadendo.
Era talmente provata da non riuscire a respirare bene e, anche dopo averle messo dell’acqua e del mangime vicino, beccava a stenti e beveva con grandissimo sforzo. Insomma, non riusciva nemmeno a nutrirsi.
Immediatamente mi sono prodigata, cercando su Internet il modo per dare soccorso a un animale che intanto, essendo un volatile, necessitava di essere “catturato” e, inoltre, non trattandosi di un tipico e consueto animale domestico, richiedeva un intervento specializzato.
Inutile che io stia a raccontare le ore passate al telefono per cercare di trovare qualcuno che rispondesse ai vari numeri presenti sui siti Web di appartenenza.
Mi riferisco ad alcune associazioni “onlus” e alcuni enti nei cui siti sono riportati decaloghi di belle parole e buoni propositi, che mi domando quando, come e chi dovrebbe mettere in pratica visto che sembra che le stesse sedi siano “fantasma”.
Desistendo dalla caccia all’Associazione e/o all’Ente “preposto” per la tutela della cosiddetta fauna selvatica, protetta e non protetta, ho iniziato a contattare telefonicamente vari veterinari.
La risposta era univoca: «non possiamo intervenire nemmeno se dovesse riuscire a catturarla e portarla in studio per le cure del caso. Si rivolga all’Ente preposto».
Se accadesse questo per gli esseri umani sarebbe omissione di soccorso. Per una tortora, essere vivente anch’essa, è lavarsene legittimamente le mani.
Alla fine, sono riuscita ad avere l’attenzione di un veterinario che, almeno, malgrado si trovasse a circa 40 km dalla mia abitazione, mi ha dato speranza dicendomi che, se riuscivo a portarla in studio, le avrebbe dato un’occhiata.
Ho firmato ben volentieri una specie di liberatoria assumendomi la responsabilità di aver portato io quella tortora nel suo studio e di averla affidata alle sue cure ma, almeno, sono certa che a quella piccola tortora indifesa e sofferente è stato dato l’aiuto che ogni essere vivente merita in circostanze di bisogno.
Purtroppo non ce l’ha fatta, ma siamo riusciti a darle conforto per ulteriori tre giorni, giorni in cui ho trepidato per la sua sorte ma, come la vita insegna e impone, alla fine, malgrado il triste epilogo, sono stata serena per averle offerto la possibilità di una guarigione altrimenti negatale.
Questo, purtroppo, è quanto ho dovuto constatare in merito alle inefficienze e inadempienze dei cosiddetti organi preposti.
Solo per rendere l’idea dell’inadeguatezza di un ente (che sembra fosse preposto) e di qualche suo operatore, quando sono riuscita a raggiungerlo telefonicamente, la risposta che ho ricevuto, con la premessa che non erano loro a doversene occupare, è stata: «signora, non si preoccupi, sicuramente è stanca, la lasci riposare e poi se ne andrà da sola».
Sacrosanta verità: per l’operatore se ne sarebbe “andata” sicuramente da sola, sarebbe intervenuta madre natura e avrebbe fatto il suo corso, senza che l’uomo ci dovesse mettere le mani.
Ebbene, purtroppo ieri ho dovuto registrare uno degli altri casi in cui i cosiddetti “enti preposti” contano di assolvere ai loro compiti affidandosi sempre a madre natura che provvede al posto loro.
Questa volta la circostanza era ben diversa: si trattava di un gatto morto ed in avanzato stato di decomposizione lasciato ai margini della pubblica via sotto un marciapiede.
Me ne sono accorta parcheggiando la mia auto e, avvertito un lezzo insopportabile, ho dovuto constatare la presenza di quell’animale già morto.
Mi sono armata di cellulare e ho iniziato a telefonare per chiedere la rimozione della carcassa del gatto: quel Comune mi ha indirizzata verso la loro partecipata che svolge (o dovrebbe svolgere) servizi di igiene ambientale nel territorio; contattata questa Società, ho appreso dalla stessa che ad occuparsene era l’ASL territoriale; ho contattato l’ASL che, devo dire con estrema cortesia, ha chiesto un po’ di tempo per chiedere a chi di dovere e, a distanza di pochissimo, mi ha ritelefonato dicendomi che ad occuparsene era l’azienda dei servizi di igiene ambientale.
Ricontattata l’azienda, questa mi ribadiva che ad occuparsene doveva essere l’ASL che, prontamente e nuovamente interpellata, si riprendeva del tempo e, ancora una volta, mi confermava che non era loro la competenza.
A questo punto, ho telefonato alla Polizia Municipale e, spiegato e segnalato il problema che comunque assumeva un carattere di tutela della salute pubblica, ho ancora una volta chiesto un intervento al fine.
La risposta è stata che ad occuparsene doveva essere la società che gestisce i servizi di igiene ambientale che, non facendolo direttamente, per questo tipo di prestazione avrebbe dovuto contattare a sua volta una società privata, dunque “a pagamento” (la parolina magica che impediva qualsiasi tipo di intervento).
Probabilmente, il mio interlocutore avrà avvertito il mio sgomento e la mia irritazione crescente e, a quel punto, mi ha rassicurata dicendomi che avrebbe accolto la mia segnalazione, per la quale ho fornito le mie generalità e il mio recapito telefonico, oltre le indicazioni sul luogo in cui si trovava il gattino, passando la comunicazione loro stessi all’ufficio “preposto”.
Aggiungeva, altresì, che non sarebbe stato un intervento immediato (era venerdì mattina) e, forse, sarebbero intervenuti non prima di lunedì prossimo.
A questo punto ho veramente consegnato le armi e mi sono arresa. Ero purtroppo consapevole che qualsiasi altro mio sforzo sarebbe stato vano: non avrei potuto cavare un ragno dal buco.
È deprimente prendere coscienza di essere nelle mani di un sistema che sa solo prendere e calpestare ma non fa nulla di quello che è investito a fare né alcunché per migliorare.
È un sistema assoggettante e svilente, contro il quale il cittadino comune, a meno di non avvitarsi in un tunnel di responsabilità personali, non riesce a scalfire questo vero e proprio muro di gomma rafforzato quotidianamente dall’indolenza di alcuni organi di controllo.
Cosa deve fare un cittadino che desidera poter vivere in un ambiente civile e che prova con ogni mezzo lecito a stanare le incapacità e le negligenze?
Non lo so: quello che ho capito è che tantissimi enti, organi istituzionali, associazioni, ecc., sono solo un modo per confonderci e per distribuire competenze e responsabilità che non si assumeranno mai; viceversa, sembrano vigili e presenti in altre “spartizioni”.
Una cosa è certa e l’ho imparata: se non si ha sensibilità e interesse per gli esseri umani (il cui destino, il più delle volte, è affidato al fatalismo), allora per il mondo animale, sia che siano vivi sia che siano morti, si tende ad affidarsi a madre natura.
La mia conclusione, quando mi è stato detto che l’intervento di rimozione del gattino sarebbe stato a distanza di giorni, è stata proprio questa: «Non credo sia necessario che vada qualcuno. Tra un paio di giorni provvederà madre natura a eliminare ciò che al momento rappresenta un problema per questa civile comunità»!
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