“Firmato il Memorandum sul Reddito di inclusione tra Governo e Alleanza contro la povertà” (14 aprile 2017).
Il Governo lo conosciamo. “Alleanza contro la povertà”, invece, raggruppa un insieme di soggetti della società civile, del sindacato e delle istituzioni che hanno deciso di unirsi per contribuire alla costruzione di adeguate politiche pubbliche contro la povertà assoluta nel nostro Paese.
Si apre così l’home page del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Sembra una delle grandi soluzioni ai problemi di tantissime persone.
Sarà così?
Beh! La cerimonia di firma si è svolta, il titolo è interessante, il proposito è meritorio e i contenuti ora li andiamo ad analizzare.
La dichiarazione del ministro Poletti: «L’impegno del Governo è approvare rapidamente il decreto attuativo», invece, lascia a desiderare e, soprattutto, lascia al momento solo delle belle parole, altrimenti dette proclami!
Per non parlare poi della parte in cui, sempre nel suddetto comunicato presente sul sito del Ministero, il Ministro dichiara che aver sistemato il Reddito di inclusione «ha significato definire un metodo e affermare dentro un disegno i contenuti: il sostegno al reddito e l’inclusione».
Sembra preoccuparsi di operare affinché non manchi «un’infrastruttura che faccia coagire la dimensione del sociale con quella del lavoro nel contrasto alla povertà».
Invece di tradurre questa iniziativa in concreta realtà, si apprende dal comunicato che «è in corso un intervento di potenziamento dei centri per l’impiego: 600 nuovi operatori che saranno selezionati per essere esclusivamente dedicati alla presa in carico dei beneficiari del REI e alla collaborazione con i servizi sociali per la progettazione personalizzata».
Praticamente, per l’espletamento delle attività del REI (Reddito Di Inclusione) occorrerebbero «600 nuovi operatori» presso i Centri per l’Impiego.
Ora, ben venga l’ingaggio di 600 persone, ma, se dovesse essere a discapito della finalità di questa norma, sento il dovere di manifestare il mio disappunto su queste assunzioni, soprattutto se dovessero servire per creare clientelismi.
I centri per l’impiego, ormai dislocati sull’intero territorio, come ben si può vedere sul sito ClicLavoro, si avvalgono anch’essi di modalità esclusivamente telematiche che dovrebbero aver snellito il trattamento delle pratiche e, anche se non conosco i numeri degli occupati in questo settore, non mi pare vi sia mai stata alcuna lamentela in ordine al buon funzionamento degli uffici del lavoro per carenza di personale.
Non credo che l’espletamento delle pratiche del REI possano assorbire così tante risorse umane! Diamo priorità a ciò che dev’essere veramente prioritario.
Poi ci lamentiamo che alcuni uffici pullulano di persone in esubero mentre altri, più necessari, languono.
In realtà, «i Centri per l’impiego sono le strutture pubbliche che, su mandato delle Regioni e delle Province, favoriscono sul territorio l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, informando, orientando e dando consulenza gratuita a coloro che sono in cerca di un’occupazione. Svolgono anche attività amministrative come l’iscrizione alle liste di mobilità e agli elenchi e graduatorie delle categorie protette, la registrazione delle assunzioni, le trasformazioni e cessazioni dei rapporti di lavoro presso aziende private ed enti pubblici» (Fonte su ClicLavoro).
Fondamentalmente, continuerebbero a svolgere il proprio lavoro.
Ho provato a leggere il Memorandum d’intesa tra il Governo e l’Alleanza contro la povertà in merito all’attuazione della legge 15 marzo 2017 n. 33 – G.U. 24/03/20173. Avrò io forse delle carenze intellettive, ma non ho avuto le risposte che mi aspettavo: ho solo compreso che i punti di intesa sarebbero sette.
Come al solito, questi atti sono talmente tecnici e analitici nello spaccare il capello in quattro, che il cittadino comune (potenzialmente il destinatario di questi benefici, quando e se lo diventeranno) non termina la lettura per inedia. Forse tutto sarà più chiaro con i decreti attuativi!
Una cosa però mi indispettisce parecchio. Quando si affronta un problema che riguarda la collettività e alcune sue fasce disagiate, ogni cosa viene subordinata ad un’altra e ancora un’altra e così via, fino all’esasperazione.
Tutto premette delle condizioni e dei vincoli a determinate azioni. È il caso di dire che “non si fa niente per niente”.
Quando una decisione riguarda invece uomini e donne di governo (più gli eredi di questi ultimi) e caste professionali e sociali, allora tutto fila liscio come l’olio: una leggina possibilmente in sordina e di un paragrafetto, una seduta di approvazione univoca e lampo – così da evitare ogni fraintendimento – e una decisione risoluta, possibilmente retroattiva, oltre che fondi disponibili da subito e mai in attesa di un decreto di attuazione.
Noi cittadini comuni dobbiamo aspettare, volenti o nolenti. Cosa dire di coloro che devono decidere per noi e di noi?
«Difficilmente in una pancia che è stata sempre piena si troverà spazio per nobili ideali» (Andrea Mucciolo).
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